La pelle dell’orso
Inizia così l’avventura di Pietro e poco più tardi si aggiungerà Domenico che dimostra così un coraggio incosciente ma comunque nato da un senso di protezione non solo verso il padre ma anche nei confronti di quel legame di sangue che conta più degli avvenimenti passati e delle chiacchiere di paese.
La montagna diventa ancora più protagonista in questa seconda parte del film.
E’ un paesaggio vivo, che comunica e affianca gli attori nella recitazione. Le immagini delle maestose rocce dolomitiche stratificate e delle nuvole che minacciano tempesta accompagnano il cammino sottolineando la difficoltà di una missione imprevedibile e molto rischiosa.
Abbiamo girato molte scene all’esterno, a 2000 metri. Eravamo spaventati dall’aspetto meteorologico, ma penso che il film sia alimentato dalla forza della natura. Nessun effetto speciale avrebbe dato lo stesso risultato (Marco Segato).
Anche noi spettatori veniamo immersi in questo contesto naturale e ci mettiamo in viaggio con Pietro e Domenico. Questo momento ci ricorda la brigata descritta dal Boccaccio all’inizio del Decameron, quando dalla ‘montagna aspra e erta’ si va alla ricerca di un ‘bellissimo piano e dilettevole’ per ritrovare l’ordine della ragione e l’onestà dei sentimenti, dopo uno stato di caos e di bestialità che hanno segnato le relazioni umane fino a quel momento.
Il percorso di caccia è articolato, padre e figlio scalano rocce, attraversano boschi e altipiani.
Domenico recupera anche qualche ricordo della sua mamma grazie all’incontro con Sara (Lucia Mascino), un ex prostituta che la conosceva e che ora vive nel bosco in un casolare.
E così lungo il cammino le distanze si perdono e Domenico cresce, matura, instaura una forte complicità con Pietro; entrambi superano le proprie paure e debolezze.
L’avventura tra sentieri ignoti delle Dolomiti giunge verso la fine, c’è lo scontro finale, l’orso non fa più paura.